lunedì 14 giugno 2010

Io, Mario Rossi

Ringrazio madre natura di avermi concesso il dono delle lingue, di amarle, rispettarle e conoscerle. No, non perché mi favoriscono nel lavoro o mi mettono in comunicazione col mondo o altri bla bla - intendiamoci, la lingua migliore per visitare il mondo è quella del denaro - ma perché mi consentono di vedere il mondo com'è aldilà di quello che ci viene dipinto dai media, di quello che conosciamo esplorando le situazioni di vita nei confini italici.

Così, girando per quei siti che tanto sanno di guerra più che di ricerche di collaborazioni e lavoro, un italiano chiunque, il Mario Rossi della situazione, potrebbe avere diverse interpretazioni della realtà.

A vent'anni, il buon Mario si chiederebbe dov'è il problema occupazione in Italia - così tante offerte, così tanti posti dai nomi altisonanti nella loro suprema cadenza anglofila, perché mai tremare all'idea di completare l'università quando il mondo del lavoro ci aspetta a braccia aperte? Perché impegnarsi per imparare veramente, andando oltre al mero conseguir di titolo, se ogni azienda sembra pronta a travolgerci d'affetto e fiducia?

Arrivato sui trenta, Mario avrebbe capito cosa si nasconde dietro ai "neo laureati anche senza o con poca esperienza", "giovani da inserire nella nostra struttura in ogni ruolo", il trionfo del generico e del tutto ci va bene: non un inno idealista anti meritocrazia, non un sistema impareggiabile di formazione aziendale atto a metterti subito alla pari, ma il becero valere di numeri e quantità, dove la conoscenza e l'esperienza sono optional non richiesti.

Arrivato ai quaranta, Mario si chiederebbe perché mai attendere i 65 per la pensione, quando per il mondo del lavoro sei oramai un inutile vecchio, buono a crescere i figli se ne hai o a vivere una seconda giovinezza magari a scapito della pensione dei genitori. Ogni porta è chiusa, caro Mario ... massimo 30 anni, l'esperienza è inutile, pericolosa e costosa: meglio importarla da lontano, spostando i lavori per cui è assolutamente necessaria fuori dai confini, lontano in qualche paese asiatico, uno qualunque. Basta che costi poco, e che non pianti grane.

Lingue, già ... perché se Mario le conoscesse, potrebbe guardare fuori, nelle ricerche effettuate negli altri stati - ma è chiedere troppo ad uno stato così snob da trascurare persino i finanziamenti europei - e scoprire, anche parlando con chi l'impiego lo offre, che l'esperienza altrove ha ancora valore, che certe aziende ancora considerano il valore aggiunto della conoscenza derivata da anni d'impiego.

Povera, miserabile nazione - che tanto si esalta quando legge di centinaia di milioni di euro destinati al mercato del lavoro, senza pensare che finiranno come sempre in mano a chi in parte li userà per illudere e deludere quei ragazzi che dovrebbero essere il nostro futuro, in parte ci finanzierà sì la creazione di qualche migliaio di posti di lavoro, ma a migliaia di chilometri di distanza da chi quei soldi li ha dati, magari con sacrifici enormi, tassa su tassa, ed ovviamente - non saremmo italici - in parte in qualche banca sicura su isole dai nomi evocativi ed insoliti.

Se i Mario solo avessero il coraggio di muoversi, ed anziché esportare i capitali in Svizzera, come raccontavano i nostri genitori e nonni, esportassero le loro esperienze, fuori da un paese che, una volta povero e basta, ora è soprattutto povero di spirito ...

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