giovedì 1 luglio 2010

Deserti moderni

Desertificazione industriale. Devo ammettere, a volte riusciamo a spiegare perfettamente un problema complesso usando nulla di più che due parole: così, mi capita di leggerle su uno dei giornali locali, solitamente usi ad argomenti molto più triviali, le beghe della micropolitica di paese, la cronaca nera raccontata a ritmi di pettegolezzo, gli orgogli di campanile ed i mugugni così squisitamente montani, da piemontesi a due passi dalle rocce.

L'immagine è istantanea: venti e sabbia spazzano un ambiente informe, condizioni di vita estreme e rare forme di vita, l'idea che l'uomo sia la causa di tutto ciò. Solo, le dune avvolgono vecchi e quasi nuovi capannoni in disuso, il vento spazza strade mal tenute da istituzioni esangui, e solo la memoria di chi c'era prima della sabbia aiuta a distinguire, nel presente, le forme del passato.

Biella, scorso millennio - tutte, e dico tutte, le famiglie residenti in questo angolo appartato del nord Piemonte avevano, almeno trenta anni fa, un figlio, un padre, un parente o un amico impiegato nell'industria del luogo. Come operai e impiegati, per molti, come imprenditori, per pochi. Masse di lavoratori silenziosi in una terra poco incline ai lussi ed ai divertimenti, città senza svaghi, vita mondana nulla, solo lavoro. Per certi versi, non molto diversi se non nel numero dalle moltitudini cinesi nelle città-fabbriche di cui si legge in questi mesi. Biella, a tutti gli effetti, era una città-fabbrica, chiusa in se stessa e schiva per opportunità.

Eppure, Biella non è così. È un angolo bellissimo di montagne in gran parte non addomesticate, sospesa tra le valli aostane e quelle valsesiane. Ma è il biellese a fare la differenza: la città-fabbrica non si è mai curata, tranne in poche eccezioni, del dono della geografia, se non per sfruttarne le risorse, acqua, pietra, necessarie per costruire e dar vita a batterie di opifici, telai e filature, strade e strutture quanto basta perché il lavoro proceda. Parsimoniosi, come per non stonare di fronte alle montagne che raccolgono, restituendoli come nebbia, i vapori delle paludi delle vicine terre del riso, perché nulla vada sprecato.

Parsimoniosi e gelosi del proprio angolo, tanto da metterlo fuori mappa ed inospitale - hic sunt leones. Nel Piemonte post monarchia, la nobilità è la casata industriale, la dinastia, e la politica null'altro che la storia degli intrecci e delle relazioni tra rampolli e regnanti - Biella, non di meno, dall'interno del suo castello nascosto agli occhi. Rampolli più propensi al consumare che al creare, a sfruttare la macchina finché non crolla a pezzi, al mantenere giochi di potere e relazioni anzichè allearsi ed unirsi a difendere il castello. Vivere fuori dal mondo significa non accorgersi di come e dove il mondo corre, e l'ostinazione della gente di montagna disdegna il cercare strade nuove.

Anno domini 2010. La fabbrica ha chiuso, lasciando una città di cento comuni in confusione. Non sappiamo bene cosa farcene, di questa terra - facciamo un aeroporto? Un'autostrada, o magari due? Un parco acquatico? In piccola scala, beghe micropolitiche riproducono con la fedeltà sistematica di un frattale l'agitarsi politico nazionale ed internazionale, ed il sussurrato "desertificazione industriale" sembra quasi espressione di vergogna, più che nemico da sconfiggere. La città non si capacita, non passa oltre, non combatte, vedova di un passato che continua a vedere vivo - ma non più vivo delle creature non morte di Romero.

Stiamo, come paralizzati, tutti ad assistere le dune di sabbia muoversi ed inghiottire i resti della città-fabbrica ... tanto prima o poi c'è la ripresa, e tutto tornerà come prima.